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ANDREA CARÈ: RAINA È LA PERSONA, L’ARTISTA PIÙ CORAGGIOSA CHE MI È STATA ACCANTO.

 

 

Yura Troshanova: Anche alla festa, ma pure prima della festa, siamo andati anche a mangiare insieme al ristorante. E mi trovavo proprio di fronte a Lei. E cominciamo adesso ormai con l’intervista e le domande già pronte.
Prima di tutto La ringraziamo di aver accettato l’invito per questa intervista, siccome Lei è impegnatissimo e per noi è un piacere di poter parlare con Lei!
Sa che tutti gli studenti di Raina Kabaivanska con i quali abbiamo avuto il modo di incontrarci hanno espresso la loro ammirazione per Lei. Cosa ne pensa? Si sente come membro di una grande famiglia – la famiglia che la stessa Raina Kabaivanska ha creato dei suoi giovani cantanti?


Andrea Carè: Assolutamente sì. Per me comunque è sempre importante ricordarlo alle persone che mi stanno attorno, quando mi chiedono come si è sviluppata la mia carriera, e dico sempre che se non fosse stato per lei, per Raina, probabilmente non sarei qui insomma, ma lei mi ha dato veramente tanto! È come una seconda mamma per me. E quindi le devo veramente molto perché mi ha aiutato sotto tanti aspetti: sotto il profilo tecnico, per quanto riguarda la tecnica del canto, sotto il profilo interpretativo, ma anche sotto quello umano e psicologico, ho imparato a rapportarmi alla gente, ho imparato a stare davanti al pubblico, imparare una certa eleganza, un certo stile negli atteggiamenti, nel comportamento con il mondo dell’opera.
Yura Troshanova: A dir la verità, siccome ho avuto modo anche altre volte di parlare a proposito, anche altri suoi studenti hanno espresso simili pareri. E adesso un’altra domanda che è semprе legata.

Yura Troshanova: Lei è l’ultimo studente di Luciano Pavarotti. Però, d’altra parte, per far delle lezioni da lui a Modena ha interceduto proprio Raina Kabaivanska. Come L’ha presentata al grande artista? C’è ancora una domanda. Perché è stato importante per un tenore avere dei consigli da parte di un altro tenore, in più che tenore!


Andrea Carè: Esatto. Guardi Raina aveva iniziato a seguirmi già da Spoleto, quando abbiamo fatto il concorso. Quando io ho fatto il concorso di Spoleto avevo conosciuto lei che era in commissione, che teneva le Master Class all’Accademia di Spoleto e poi mi offrì lei di darmi delle lezioni private, di seguirmi ed aiutarmi seriamente. Io non avevo mai minimamente pensato di contattare Pavarotti e un giorno fu lei che mi chiamò e mi disse: “Guarda, io ti seguirò sempre, ma vorrei che avessi qualche consiglio, qualche segreto svelato da tenore a tenore, insomma”. Quindi mi preparò lei l’audizione da Lucianone e mi portò, organizzò tutto: la macchina per venirmi a prendere in stazione, i fiori da portare a lui, perché conosceva, sapeva che amava le rose rosse, queste cose qua. E poi l’audizione fu memorabile perché lei mi accompagnò al pianoforte: e lei suonò le arie e io cantavo e lui ascoltava. È stato veramente un momento molto magico, quasi incredibile a ripensarci: avere questi due candidissimi artisti accanto a me ed essere ascoltato da loro, e supportato da loro, perché poi fecero un lavoro proprio di squadra, nel senso che lei mi portò da Lucianone, ma continuò a seguirmi, e spesso si sentivano al telefono in settimana, perché quando Pavarotti mi disse che potevo andare a studiare da lui, era dicembre 2006 e mi disse: “Vieni tutti i giorni, da quando puoi vieni tutti i giorni a casa mia”, е per quanto ne so era già molto malato. E allora in una settimana mi trovai una casa a Modena, mi trasferii e cancellai tutti i concerti che avevo e tutti i pomeriggi da gennaio a giugno 2007 ero a casa sua e poi una o due volte alla settimana andavo anche da Raina. Quindi avevo un doppio supporto da parte di entrambi: si sentivano, si confrontavano, si vedevano. Per me era molto importante che venivo dal primo anno di studio in cui non c’era convenzione di quale strada avrei dovuto prendere, nel senso che ho cominciato come baritono e la mia voce era molto scura e quindi era difficile capire se avrei potuto sopportare la tessitura tenorile. Raina assolutamente credeva in questa possibilità. Però, ovviamente voleva che ci fossi un tenore a convincermi di questo. E ha trovato comunque il miglior tenore che potesse esserci in giro in quel momento. E quindi fu molto importante questa intercessione, diciamo, questo contatto che mi fornì lei, sono dei momenti molto belli, molto importanti.


Yura Troshanova: E in un certo senso ha risposto anche all’altra domanda sul carattere delle loro relazioni. Cosa si ricorda?


Andrea Carè: Ma io non so come fossero le relazioni in passato quando lavoravano assieme, però quello che ho visto io erano molto amici tra di loro e c’era un bellissimo rapporto. Insomma, io so che Pavarotti era molto… come dire … non è che si lasciasse avvicinare molto facilmente, preferiva scegliere le persone giuste, perché comunque dando lezioni a casa non voleva avere estranei. Aveva diversi allievi, eravamo cinque più o meno tutti i giorni, quattro-cinque, non sempre gli stessi, perché c’erano allievi già in carriera che andavano e venivano. Quindi diciamo che io e un’altra giovane soprano eravamo quelli più piccoli e eravamo agli inizi della carriera ed eravamo lì presenti tutti i giorni. E quindi se non fosse stato per Raina, con il suo rapporto con Lucianone, non avrei potuto avvicinarmi a lui. E diciamo insomma, non era stato nemmeno un mio desiderio, è stata lei, dopo sono diventato contentissimo, ma non è che avessi mai pensato: “Vorrei andare a lezioni da Pavarotti”, ma come d’altronde non avevo mai pensato di poter fare lezioni con lei, nel senso che tutto è capitato per destino, per fortuna, per il disegno divino, può vederlo come vuole. Però, sinceramente sono dei nomi talmente grandi, degli artisti così immensi che io penso che nessuno abbia neanche il coraggio di pensare “voglio andare a studiare con loro”. Ci va proprio un modo per arrivare; credo, c’è troppa presunzione per svegliarsi un mattino e dire “Voglio studiare con Raina Kabaivanska”, “Voglio studiare con Luciano Pavarotti”. Certo conoscerli, incontrarli, stringerli la mano, avere con loro una fotografia, questo sì, ma mai avere un rapporto così bello come quello che io ho avuto con Raina e con Pavarotti. Ecco.


Yura Troshanova: Tutto questo è veramente stupendo che ci sta raccontando. E adesso tornando un po’ anche alla sua carriera, quello che sta facendo. Lei ha ricordato il concorso internazionale a Spoleto. Allora Raina era il presidente della giuria. Cosa Le ha detto in quel primo vostro incontro?


Andrea Carè: Il mio ricordo è molto buffo perché la prima volta che le parlai fu quando lei nominò i vincitori del concorso. Eravamo cinque vincitori, credo, o quattro o cinque, non ricordo più benissimo e comunque lei venne sul palcoscenico a stringerci la mano e dire due parole a ciascuno. E mi disse che la voce era bella, materiale era bello ma era tutto da rifare. C’era molto da lavorare e che se avessi voluto, e d’altronde avevo ventitre anni, dunque molto giovane e diciamo la fortuna era stata chiara. Il conservatorio a Torino non avevano fatto danni, perché oggigiorno è già una fortuna trovare degli insegnanti che non rovinino le voci. Quindi non avevo voce rovinata, però praticamente non c’era niente di costruito. Poi lei mi ha trovato anche molto grezzo perché comunque erano solo tre anni di musica per me. Io ho iniziato molto tardi a studiar musica, ho iniziato a vent’anni, quindi mi ha trovato proprio agli inizi con tanto tanto tanto ancora da imparare, però appunto mi aiutò tantissimo. Mi fu importante prima ad incontrarla a Spoleto dove eravamo due Master class – uno all’anno. In questi Master class non è sempre facile quando si arriva da un’altra tecnica e non tecnica e affidarsi a un maestro anche se senti che è bravissimo e che ha un livello altissimo di cognizione del canto, di tecnica canora, ma comunque rimane un mondo all’inizio un po’ difficile, cioè nel senso lasciarsi andare, fidarsi di un nuovo insegnante. Però con lei non è stato per niente difficile perché si capiva fin da subito che trovava la direzione giusta, e potevamo fidarci. Almeno io parlo personalmente, ho sentito subito che dovevo andare in quella direzione, fidarmi di lei. Non è stata facile, lei è stata molto paziente perché io sono anche molto lento e ci ho impiegato un pochettino, ma lei ha visto che c’era sempre molta buona volontà da parte mia e che mettevo tutta l’anima in questo studio. Spoleto fu molto importante per me, per i primi passi insomma.


Yura Troshanova: Essere un tenore significa anche disporre di un ricco repertorio – non soltanto di personaggi operistici, ma anche le melodiche canzonette italiane. In questo senso dove vede il maggior merito di Raina Kabaivanska nel delineare il Suo repertorio personale?

Andrea Carè: Io penso che Raina è stata la persona, l’artista che mi è stata accanto, più coraggiosa perché la paura nella maggior parte dei cantanti, musicisti, direttori d’orchestra, pianisti che ho avuto attorno a me è sempre stata “oddio hai una voce per il repertorio drammatico ma sei troppo giovane, non puoi fare”. Invece lei ha sempre detto: “Canta con la tua voce, non ti preoccupare”. È stata praticamente una delle prime a credere che potessi interpretare Don José nella “Carmen”, non ha avuto nessuna paura, nessuna esitazione a dirmi di studiare di Samsone l’aria per l’audizione per il teatro di Nurnberg e quella fu una grande intuizione perché comunque fu un grande successo in Germania e il mio primo deport e devo dire che a differenza di tanti che pensavano che Samsone poteva essere troppo drammatico per un ragazzo di 28 anni, è troppo presto, devi aspettare gli anni quaranta, queste cose qua. In realtà poi si rivelò essere uno dei ruoli più facili che ho fatto perché la mia vocalità è proprio questa. Quindi è inutile stare ad arrampicarsi sui muri e cercare di cantare dei ruoli che non sono fatti per la mia voce. Sì è vero il repertorio è esteso, ma non poi tanto nel senso che ogni voce ha delle caratteristiche ben specifiche e quindi non è che un tenore possa cantare da La figlia del reggimento all’Otello. Questo è impossibile. Quindi bisogna o può succedere con gli anni, ci sono rari casi come Gregory Kunde che attualmente è passato appunto da un repertorio di tenore leggero, quando era giovane; adesso nell’ultima parte della sua carriera sta affrontando un repertorio più drammatico, ma sicuramente questa è un’evoluzione dall’acuto al repertorio più grave che può avvenire negli anni. Non può essere una voce già drammatica, abile e capace di non sforzarsi a far un repertorio leggero. Quindi Raina ha avuto questa intuizione che era molto importante.


Yura Troshanova: E adesso ormai spesso si sente definirla “un divo mondiale” e il Suo nome attira il pubblico. Quando esce sul palcoscenico, ci sono delle parole concrete di Raina Kabaivanska che Le vengono in mente e L’ha aiutano di sentirsi forte e sicuro?


Andrea Carè: Mah, non riesco a identificarne alcune in particolare nel senso ha detto talmente tante cose nelle sue lezioni e negli incontri che abbiamo avuto che ogni volta è sempre una perla di saggezza, una nuova scoperta. È un mestiere questo qui che non si finisce mai di studiare, non si finisce mai di scoprire se stessi. Fortunatamente c’è un momento in cui ci si sente, diciamo, pronti per affrontare un repertorio, un’opera, un pubblico, un teatro, ci si sente pronti in quel momento. Poi dopo ci si scopre che in realtà non lo si era come si sarebbe voluto. Non ci si sente mai in realtà completi e si vorrebbe sempre migliorare. Quindi il problema è che l’artista deve essere un po’ staccato e quando tutto funziona, solitamente l’artista si sente, si vede nelle video, soprattutto oggigiorno che ci sono tante riprese video e non si piace mai. Questo è buono perché porta a un continuo sviluppo, a una continua perfezione ed aggiustamento di tutte le qualità e possibilità. D’altro canto bisogna essere attenti a non sprofondare nella depressione perché a delle volte si ha la sensazione perché il pubblico è stato molto caldo e ha applaudito tantissimo, di aver fatto una serata incredibile e poi si va a riascoltare qualche giorno dopo e si ha una sorta di depressione di sentire che non era quello che uno sperava di aver fatto. Ecco! Anche perché il nostro orecchio è sempre molto critico, sappiamo i nostri limiti, sappiamo le nostre possibilità, quindi sul momento se un cantante cerca di ascoltarsi sta fallendo perché non bisogna ascoltarsi, bisogna assolutamente dare, e poi dopo quando ci si riascolta rimane un po’ spesso una frustrazione, però è anche uno stimolo a fare meglio, a impegnarsi di più, o a cercare di studiare ancora di più. È una delle cose importanti che Raina ha sempre detto e cerco di applicare e quando ci sono dei momenti molto difficili, delle opere molto difficili. Intanto una cosa veramente fondamentale, che mi apre gli occhi, che lei disse, è stata che se siamo fortunati in un anno abbiamo 15 giorni in cui la nostra voce sta veramente bene, in un anno intero. E se siamo veramente fortunati, fortunatissimi, in uno di questi 15 giorni abbiamo una recita. Questo per dire che se sei un cantante, un artista fortunato in un anno riesci ad avere una recita in cui sei al top. Tutto il resto dei giorni devi imparare a galleggiare, cioè a sopportare il peso della difficoltà del momento. Perché? Perché ci può essere uno stato d’animo che non ti aiuta, ci può essere una situazione fisica, problemi fisici di salute. Ci possono essere difficoltà perché ogni città, ogni teatro ha delle difficoltà. Ci sono città che hanno problemi di pressione atmosferica, ci sono città che hanno energie negative. Ci sono pubblici, ci sono tensioni anche sul palcoscenico, perché comunque come artisti siamo molto sensibili, no? Quindi abbiamo spesso la capacità, il peso di sentire anche il male altrui. Quindi alle volte saliamo sul palcoscenico e condividiamo dei momenti difficili con altri artisti o colleghi. Tutto questo va ad influire comunque indubbiamente sulla nostra voce. Quindi è veramente difficile trovare una giornata in cui hai un concerto o hai un’opera e hai la possibilità di cantare al top con tutta l’energia, tutta la tua voce che sta benissimo, senza raffreddore, senza problemi vari. Quindi tutte le altre volte quando uno sale sul palcoscenico e dice “Oddio! Non mi sento bene. Oggi non va bene.”, però uno pensa a queste parole di Raina e dice se uno dei più grandi nomi della lirica ha avuto anche queste sensazioni in vita sua, allora chi sono io per averlo differenti, no? Questo aiuta molto. Questo aiuta tantissimo.